Storie americane by Joyce Carol Oates

Storie americane by Joyce Carol Oates

autore:Joyce Carol Oates [Oates, Joyce Carol]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Il Saggiatore
pubblicato: 2023-10-23T22:00:00+00:00


Sei mai scivolato sul sangue fresco?

Eh?, gli domandava lei furente, mille volte. T’è mai capitato? Voglio dire, ci sei mai scivolato sul sangue fresco, lo sai cosa si prova?

Piangeva e si scostava i capelli dalla faccia, gli occhi serrati in modo che lui potesse fissarla, intensamente, da vicino, in modo da non potergli nascondere nulla. La nudità la rendeva radiosa nella penombra cruda del pomeriggio invernale. Lui sentiva che quella nudità era nel viso, dietro gli occhi, nella pressione delle palpebre rabbiose contro gli occhi. Tutto ciò che la riguardava era duro, liscio, inflessibile, senza inganni.

«Nessuno sa quello che sappiamo noi» disse.

Lei non disse niente. Aveva ancora gli occhi chiusi.

Il lenzuolo le era scivolato di dosso e lei appariva indistinta, nella luce fioca della stanza che lui aveva preso in affitto per loro due. La stanza dava non sul cielo ma, oltre un precipizio terribile, su un altro edificio. Le persiane erano sempre chiuse; non c’era niente da vedere. Qui doveva vederla con le mani, frugarne ansiosamente il corpo con le dita. Non riusciva a credere a lei tranne quando stavano insieme così. Gli sfuggiva di mente, scivolava fuori fuoco. Quando stavano insieme in quella camera lei ritornava in primo piano, come centrata nel mirino di un fucile.

Si erano visti in quel modo per la prima volta a dicembre. Era successo un mese e mezzo dopo il giorno in cui si erano conosciuti all’aeroporto La Guardia, e circa nove mesi dalla fine del processo a Milwaukee: un processo di cui Marian sapeva poco e che aveva coinvolto quattro giovanotti poco più che ventenni accusati di concorso in istigazione alla renitenza alla leva. Dei quattro, uno solo era celebre: il cantante folk Jacob Appleman, condannato a tre anni di reclusione. Altri due avevano avuto pene analoghe. Il più giovane degli imputati, Robert Severin, che all’epoca del processo e anche della sua morte aveva ventitré anni, era stato assolto. Nessuno sapeva perché.

Perché Severin è stato assolto?, chiedeva la gente. Perché lui sì e gli altri no?

Svelto, furtivo, nervoso, con un che di malinconico nell’espressione e nei baffetti che si era rifiutato di tagliare per il processo; con l’abitudine di coprirsi la bocca con la mano quando parlava, come se non si fidasse delle proprie parole o se ne vergognasse. «Non me li taglio. Non intendo dare un’immagine falsa di me stesso. Io non mento» aveva detto al suo avvocato. Non si tagliava i baffi, non si vestiva in maniera consona e non guardava nessuno negli occhi, abitudine di una vita ormai, nemmeno gli altri imputati e il suo legale, assunto per lui dal padre. Severin era basso, scuro, snello, con un fisico fanciullesco dal torace incavato. Quando stava seduto si contorceva a scatti brevi e disarmonici, apparentemente senza rendersene conto. Si era dimenato sulla sedia per tutto il processo, il cuore che accelerava a intervalli strani, in particolare durante i lunghi tempi morti nei quali pareva che non accadesse nulla. Severin temeva che in quei momenti in realtà qualcosa succedesse, ma che nessuno lo sapesse.



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